Si è tenuto lo scorso venerdì 22 aprile, in occasione della Giornata nazionale della salute della donna, il webinar “Disuguaglianze di genere e salute: la parola alle esperte”. È questo il nome del momento di approfondimento pensato da e per il gruppo di lavoro del cantiere della zona-distretto Pisana, composto dalla Società della Salute, il Comitato di Partecipazione, la Consulta del Terzo settore e gli Attivatori di comunità che vivono in questa zona.
Grazie al contributo di professioniste del settore, il gruppo di lavoro ha potuto esplorare il tema delle disuguaglianze di genere in salute nelle sue numerose dimensioni, con l’obiettivo di dedicarsi nei prossimi passi alla progettazione e alla sperimentazione sul campo di uno strumento di indagine per il contrasto alle disuguaglianze di genere in salute. I risultati di questa indagine saranno analizzati dal gruppo di lavoro e saranno restituiti al pubblico in un evento partecipativo che permetterà di elaborare ulteriori considerazioni insieme a cittadini e cittadine della zona Pisana. Un percorso articolato per raccogliere informazioni preziose, che in futuro potranno esitare nelle regolari attività di co-programmazione riconosciute al Comitato di Partecipazione e alla Consulta del Terzo settore.
Anche per questo il confronto di venerdì 22 aprile è stata un’occasione di straordinaria ricchezza, che racconta la volontà delle reti associative e del Terzo settore locale di ascoltare con attenzione il proprio territorio e di dotarsi degli strumenti migliori per dare compimento alle responsabilità che la legge regionale 75/2017 riconosce loro e in cui li supporta Cantieri della Salute: avvicinare le politiche di salute ai bisogni concreti di tutti i cittadini e le cittadine, a partire dalla comprensione profonda dei loro bisogni.
Un momento del gruppo di lavoro che ha deciso di approfondire il tema delle disuguaglianze di genere con Cantieri della Salute.
Progettare questo incontro è stata un’occasione per Comitato e Consulta per mettersi alla prova nella definizione di obiettivi comuni e per testare strumenti e metodi funzionali a consolidare la collaborazione all’interno degli organismi di partecipazione e tra organismi di partecipazione e SdS. Lo stesso avverrà nelle future attività di progettazione dell’indagine e dell’evento pubblico partecipativo, che inizieranno nelle prossime settimane. Il gruppo di lavoro è aperto a tutte le organizzazioni che vogliano aderire al Comitato di Partecipazione e alla Consulta del Terzo settore della Società della Salute Pisana. Di seguito, riportiamo gli interventi delle relatrici.
CONSUMI D'AZZARDODIFFERENZA DI GENERE E PANDEMIA
Intervento della dottoressa Elisa Benedetti dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR
Per consumi d’azzardo si intendono tutte le sostanze legali e illegali, incluso gioco d’azzardo. Su come questo fenomeno colpisca diversamente secondo l’identità di genere, Benedetti ha offerto ai partecipanti alcuni dati di contesto, insieme a una lettura dei dati rispetto all’uso delle singole sostanze.
Un tema, quello delle differenze di genere nell’uso di sostanze, che non è stato indagato e certificato se non di recente dall’OMS, con l’introduzione del cosiddetto “paradosso di genere”: un fenomeno secondo cui le donne tendono a consumare meno sostanze degli uomini, ma spesso si trovano a soffrire conseguenze peggiori. “I fattori di rischio associati ai consumi femminili sono spesso diversi” ha raccontato la dott.ssa Benedetti “e sono legati ad esempio alla gravidanza, a vissuti di prostituzione, sfruttamento economico e scarso sostegno sociale”.
Guardando alle prese in carico, nel 2020 sono state 18.180 le donne assistite dal SER.D in Toscana. “Tendenzialmente le donne sono sempre un po’ più giovani degli uomini” continua Benedetti “ma l’età media di chi arriva ai servizi è aumentata. E questo ci fa pensare che in generale ci sia un ritardo nella presa in carico delle donne che sviluppano dipendenza da sostanze, che rischiano di accedere quando la situazione è ormai cronicizzata.” In materia di consumo eccessivo di alcol (binge drinking) e ubriacature è allarmante il dato sulla popolazione studentesca, che si attesta su livelli di consumo molto alti: nel 2020 il 62% di ragazzi e ragazze minorenni racconta di farne uso regolarmente, senza particolari differenze di genere osservabili.
“Ma il dato più interessante” continua Benedetti “è forse quello che riguarda l’uso di psicofarmaci senza prescrizione medica. Una percentuale molto alta di studenti ne fa uso di psicofarmaci fuori dalla prescrizione, e il consumo delle ragazze in questo caso è nettamente superiore: quasi 3 volte quello dei ragazzi. Anche tra minorenni. Come è possibile questo? Ce lo raccontano loro: in molti casi sono farmaci reperiti in casa perché prescritti ai genitori, di cui viene fatto misuso.” La proporzione più alta nella popolazione femminile riguarda i farmaci per dormire, seguita dai farmaci per la dieta, il controllo dell’umore, l’attenzione. Utilizzi legati a un generale disagio nello stare in società e incontrare certe aspettative, incluse quelle di rendimento scolastico.
Per quanto riguarda il gioco d’azzardo invece, la pandemia ha provocato conseguenze drammatiche sulla popolazione femminile. “La chiusura di esercizi come i tabaccai ha fatto diminuire drammaticamente il gioco fisico, ma ha fatto aumentare il gioco online. Ma proprio con il gioco online, le ragazze hanno iniziato a giocare di più”.
Le domande di chi ha partecipato si sono concentrate sull’esplorazione di ulteriori fattori di rischio legati alla condizione sociale delle donne, come ad esempio convivenze tossiche, esperienze di violenza, o vissuti di solitudine. Temi importanti che impongono uno sguardo di genere sul fenomeno, e chiamano risposte adeguate ai fattori di contesto che producono queste disuguaglianze.
SALUTE E MEDICINA DI GENERE
OBIETTIVI E AZIONI DI REGIONE TOSCANA
Intervento della dottoressa Mojgan Azadegan - Centro di Coordinamento Aziendale per la Salute e la Medicina di Genere - AOUP
La dott.ssa Azadegan ha raccontato le disuguaglianze dalla prospettiva offerta dalla medicina di genere: una dimensione trasaversale alle diverse specialità mediche che si dà l’obiettivo di arrivare a decisioni terapeutiche fondate sull’evidenza scientifica, studiando l’influenza che sesso e identità di genere hanno su fisiogia, fisiopatologia e sulla clinica di tutte le malattie. “Quando parliamo di medicina di genere non parliamo di una nuova specializzazione” ha raccontato la dott.ssa Azadegan “ma di un approccio che è trasversale a tutte le specialità mediche. Che non riguarda soltanto la medicina e la malattia, ma anche lo stato di salute in senso ampio. Con uno sguardo che va oltre differenze anatomo-fisiologiche, ma guardare alle differenze psicologiche, sociali, culturali. “
Un approccio nato come presupposto per una medicina più efficace, per ottenere cure appropriate ed evitare il rischio di diagnosi tardive legate al mancato riconoscimento di sintomi diversi. “La donna è sempre stata considerata come un piccolo uomo. Si parla in questo caso di ‘Sindrome da bikini’: per anni la donna è stata studiata soltanto per quanto riguarda il suo apparato riproduttivo. Ne vediamo ancora le conseguenze anche nelle sperimentazioni cliniche, che sono dedicate ai pazienti maschi e bianchi di quella che ancora troppo spesso viene definita ‘razza caucasica’.” Da qui investimenti in screening spesso inappropriati che portano a diagnosi tardive nelle donne, anche per malattie molto gravi come il tumore colon-retto o alla vescica.
Un fenomeno problematico, già riconosciuto da alcune importanti risposte di tipo normativo di livello nazionale e, nel nostro caso, regionale. “È del 2019 il Piano Nazionale per l’applicazione della Medicina di Genere dell’Istituto Superiore di Sanità, che prescrive la diffusione della medicina genere-specifica e la divulgazione delle sue pratiche sanitarie”. Una legge importante che inquadra alcuni obiettivi fondamentali (promuovere percorsi clinici, di prevenzione, di diagnosi, di cura e riabilitazione genere-specifici; fare ricerca e innovazione; promuovere comunicazione e informazione; formazione e aggiornamento di professionisti come medici, infermieri e tecnici) e che identifica nei suoi alleati fondamentali anche le associazioni dei pazienti.
“Regione Toscana da questo punto di vista ha un primato: è stata la prima regione che ha inserito nel suo Piano Socio Sanitario l’elemento di genere, e nel 2014 si è dotata Centro Regionale di Medicina di Genere, con referenti della medicina di genere anche nei livelli aziendali e zonali.”
Le domande dei/le partecipanti hanno spaziato su più temi: la difficoltà dell’aggiornamento dei medici di medicina generale perché rispettino l’obbligo di adottare un approccio genere-specifico. Da questo punto di vista una partecipante hanno evidenziato l’importanza di rendere vincolante questo approccio, introducendolo in strumenti come gli item dei percorsi di accreditamento o come i Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali – elemento che rende ancor più importanti i regolari censimenti aziendali svolti in materia di percorsi diagnostici. Sempre nell’ottica di evitare disuguaglianze in fase di accesso, è stata esplorata la possibilità di prevedere il ricovero di persone sulla base dell’identità di genere – evitando così l’esclusione di persone che hanno intrapreso un percorso di transizione.
DIVARI DI GENERE, LAVORO, TEMPO
UNA PROSPETTIVA ECONOMICA
Intervento della dottoressa Natalia Faraoni, Istituto Regionale Programmazione Economica della Toscana (IRPET)
Nell’ambito del suo intervento, la dottoressa Natalia Faraoni ha offerto ai/le partecipanti una panoramica generale di alcuni dei principali rilievi individuati nell’ambito del rapporto biennale sulla condizione lavorativa ed economica della donna in Italia. “La Toscana è al di sopra della media nazionale per quanto riguarda gli indicatori del mercato del lavoro” ha spiegato la dottoressa Faraoni. “Le donne attive di età 25-54 anni che sono al 77%, quasi 10 punti in più rispetto alla media nazionale. Nonostante questo, rimangono forti le differenze di genere quando si comparano i tassi di occupazione delle donne rispetto a quelli degli uomini – un dato questo che negli ultimi decenni è rimasto costante.”
“Lavorare significa avere autonomia economica” ha continuato Faraoni “ avere la possibilità di decidere della propria vita, e realizzare delle aspettative rispetto al proprio percorso di studio. E le donne hanno generalmente molto successo nell’istruzione. Poi però arrivano nel mercato del lavoro… e questo successo non è corrisposto né in termini finanziari, né di tipologia di lavoro. Il divario rimane: le donne lavorano meno degli uomini. Hanno un maggior rischio di abbandono del mercato del lavoro, o perché quando lavorano è più facilmente un part-time, spesso involontario.”
La presenza delle donne in Italia ancora oggi resta concentrata in mestieri che il senso comune attribuisce al genere femminile come i servizi di cura – mansioni con retribuzioni mediamente più basse e con minori chance di fare carriera, spesso a fronte di ulteriori carichi di cura non retribuiti in ambito familiare. “Tra i mestieri dove le donne sono sovrarappresentate troviamo anche il settore sanitario: sono i tre quarti dei dipendenti della sanità toscana, salvo poi non apparire nei livelli apicali. Anche in questo caso, il soffitto di cristallo rimane”.
Un quadro allarmante su cui impatta ulteriormente l’eventuale nascita di figli, che a fronte di carichi di cura diseguali comporta troppo spesso l’abbandono definitivo del mercato del lavoro. “Partecipano più facilmente al mercato del lavoro donne delle nuove generazioni e/o con un titolo di studio” spiega Faraoni, “tutti fattori positivi che però sembrano essere maggiormente legati alle lente conquiste culturali e alla riorganizzazione familiare piuttosto che a politiche specifiche. Penso al ricorso massiccio che si fa ai nonni e al welfare familiare per poter essere madri lavoratrici – un’esperienza positiva per molti e molte di noi, che però come dato nazionale indica la mancanza di servizi e politiche di conciliazione e condivisione delle cure.”
In questo contesto, i due anni di emergenza sanitaria hanno aggravato i divari di genere: colpendo maggiormente i settori a prevalenza femminile (terziario, manifattura, moda) e aumentando il peso dei carichi di cura preesistenti.
I/le partecipanti hanno concentrato le domande sull’identificazione di provvedimenti seri e strutturali per dare pari opportunità alle donne nel mondo del lavoro, esplorando l’esistenza di eventuali buone pratiche di altri paesi per passare da conciliazione a condivisione o chiedendo verifiche sul funzionamento di misure già in essere come le quote rosa o lo smart working. Un tema ancora aperto, con evidenze che però sembrano indicare alla necessità di nuove forme di congedo parentale che consentano ai padri di farsi carico della cura, come già previsto anche da normative europee.